I libri della collana
Saggi 1
Alessandro De Felice
UMBERTO II ED IL MISTERO DELL'ARCHIVIO SAVOIA SCOMPARSO PER IL '900 E LA SECONDA GUERRA MONDIALE,
Sinclair Edizioni, Milano, 2016, pp. 261, euro 23,00
L'11 febbraio 1993, fra i grandi clamori dei media, il direttore generale ai beni archivistici della Repubblica Italiana, Salvatore Mastruzzi, e Isabella Massabò Ricci, Dirigente dell'Archivio di Stato di Torino, ricevono la principessa Maria Gabriella di Savoia, presso l'ambasciata Onu di Ginevra, e la stessa principessa consegna allo Stato italiano tredici scatoloni ricolmi di migliaia di documenti del Regno Sabaudo. Ma le "cartelle", anzi i fascicoli consegnati dalla principessa sono appena 88, contro i 217 enumerati nel verbale sommario sottoscritto dai sei "saggi" nominati da Umberto II che esaminarono l'archivio a Cascais a Villa Italia il 21 maggio 1983. Ne mancano 129 e impazza la polemica, soprattutto perch, tra i documenti, la corrispondenza e gli atti, non ci sono quelli più attesi, relativi al Novecento. Del XX secolo non restano che un inedito "Diario di guerra" (1915-18) dattiloscritto dal colonnello Francesco Avogadro degli Azzoni, aiutante di campo di Vittorio Emanuele III, e un elenco delle cariche di Stato vergate a mano dallo stesso re. Dove sono finiti dossier ed incartamenti per il '900 e la seconda guerra mondiale?
Umberto II muore il 18 marzo 1983. Questa indagine storico-politica punta il microscopio investigativo sui carteggi privati di Vittorio Emanuele III con particolare riferimento alla/e lettera/e (sarebbe meglio usare il plurale, visto che sarebbero state almeno tre) che gli avrebbe inviato il presidente della Repubblica francese Albert Lebrun (durata mandato presidenziale 10 maggio 1932-11 luglio 1940) nel 1940. Lettera/e nella/e quale/i Lebrun sollecitava, paradossalmente, l'intervento dell'Italia contro il governo di Parigi nella II guerra mondiale. La Francia alla fine di maggio del '40 aveva gi perso la guerra. Lebrun forse credeva che la presenza dell'Italia al tavolo delle trattative avrebbe consentito ai francesi migliori condizioni di pace. Ma, secondo alcuni, anche Reynaud e Daladier avrebbero chiesto, per lettera, a Vittorio Emanuele III ed all'Italia fascista di entrare in guerra contro Parigi. Dall'archivio di Umberto II a Cascais quel carteggio segreto con la Francia è scomparso. Che quelle carte siano sparite è un fatto, non un'ipotesi. E che l'archivio Savoia consegnato allo Stato Italiano sia incompleto è una certezza. Può anche darsi che quelle lettere dei francesi al re fossero false. Ma dove sono andate a finire? Tre le possibili risposte a questo giallo: che Umberto le abbia bruciate prima di morire portandosi il segreto nella tomba; che le abbia consegnate ad una persona di fiducia ordinandole di renderle pubbliche dopo molto tempo; che ci sia la mano di qualche servizio segreto. Si volatilizzarono i diari ed i documenti di Mussolini. I diari di un re sono forse da meno?
Saggi 1
Alessandro De Felice
La socialdemocrazia e la scelta occidentale dell'Italia (1947-1949).
Saragat, il PSLI e la politica internazionale da Palazzo Barberini al Patto Atlantico
Prima Edizione Boemi, Catania, 1998, Nuova edizione SINCLAIR Edizioni, Milano 2016, pp. 576, Euro 36,00.
"Nel saggio di cui ci occupiamo, questo sulla nascita della socialdemocrazia italiana nel periodo ‘47-’49, Alessandro De Felice esamina sistematicamente il processo di formazione del PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), che è poi il partito socialdemocratico saragattiano, in relazione all’evoluzione dei rapporti di forza internazionali ed alla crucialità geopolitica del nostro Paese nell’immediato secondo dopoguerra. Compagine politico-ideologica complessa, contraddittoria e fino ad ora poco indagata nella sua prospettiva di politica estera, il PSLI fu un partito determinante, se non decisivo, per le scelte epocali effettuate dall’Italia negli anni della guerra fredda. Con un profondo scavo documentario a ventaglio, De Felice costruisce un minuzioso corredo critico di informazioni trattate con investigazione sicura e meticolosità maniacale nella verifica di riscontri e dettagli; avvalendosi con scrupolosità e precisione, di disparate fonti italiane, statunitensi e britanniche, l’Autore – attraverso una puntigliosa e serrata successione sequenziale e logico-narrativa degli avvenimenti – delinea il ruolo trainante svolto da Saragat e dagli altri protagonisti sul processo evolutivo interno al socialismo italiano nel periodo postbellico, sgombrando il campo dagli stereotipi e dai luoghi comuni che hanno sacrificato, troppo spesso, la oggettiva ed articolata complessità della ricerca scientifica alla comodità di preconcetti e superficiali schematismi appassiti. In questo senso, i nodi interpretativi che lo studio mette in luce presentano Saragat ed il PSLI (solo parzialmente) come gli attori di una politica certamente occidentale, che si distingue, d’altra parte, anche fortemente, dalla linea degasperiana per una sua coloritura autonoma verso il terzaforzismo. Nell’indagine defeliciana, che è poi un’analisi pluriprospettica, ogni sfumatura diventa estremamente rivelatrice, con un’impostazione, quindi, che cerca di favorire una reinterpretazione di fatti complessi, deideologizzandoli, e che sottrae nel contempo gli avvenimenti al terreno dello scontro politico per affidarli al giudizio della Storia. L’interesse che ha sollecitato il testo in questione è quello di ampliare i confini della ricerca storiografica – anche con gli strumenti del revisionismo storico, quando sia necessario -, tramite un ripensamento ed un inquadramento prospettico delle vicende socialdemocratiche che rapporti la loro azione ad una più ampia scala di riferimento: quella della politica internazionale e dei condizionamenti politico-economico-militari internazionali. L’obiettivo di A. De Felice è stato quello di superare, pur tenendone in debito conto, le inadeguatezze strutturali della storiografia precedente, cercando nuovi criteri e modalità d’approccio. Compito in cui l’Autore è pienamente riuscito. Egli si è servito, in tal senso, partendo dalle irrinunciabili basi bibliografiche della politica socialista, di quella estera italiana più recente, unitamente alle tradizionali fonti documentarie degli atti parlamentari e degli atti dei congressi socialdemocratici, sia dei documenti delle Relazioni estere statunitensi, F.R.U.S. (Foreign Relations of the United States), del Dipartimento di Stato USA, della CIA e di altri enti americani, sia degli studi che hanno indagato sui rapporti intercorsi nel dopoguerra tra laburismo inglese e socialismo italiano. Giuseppe Saragat, protagonista ed autentico primo attore della scelta occidentale della socialdemocrazia italiana ha sintetizzato il senso della scissione di Palazzo Barberini: «Il nostro partito è sorto per creare una situazione favorevole ad una chiarificazione della vita politica italiana». Le cause profonde della scelta socialdemocratica devono essere ricercate nella capacità di certi settori del socialismo italiano di prevedere gli imminenti e futuri sviluppi della situazione internazionale. La tipologia dello scontro politico sul futuro della Nazione e la presenza di un forte partito comunista fanno dell’Italia – nel periodo ‘47-’49 – uno dei luoghi di frontiera della dicotomia USA-URSS, una di quelle zone geopolitiche in cui si gioca la battaglia nevralgica del più grande conflitto tra Est ed Ovest. Il testo si compone di tre capitoli fittissimi di informazioni e retroscena. Nel primo, intitolato Polarizzazione degli schieramenti e nascita della socialdemocrazia in Italia (1943-1947), viene preso in analisi prima di tutto l’impatto nell’autunno 1946 della politica internazionale sul P.S.I.U.P. (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, quindi la nascita del bipolarismo russo-americano ed il duello Nenni-Saragat che sfocia nella scissione di Palazzo Barberini con relativa scelta occidentale dei secessionisti (o di alcuni di essi). Interessante è la disamina dei rapporti tra USA ed il socialismo italiano nel periodo 1943-1947 con i “fisiologici” condizionamenti e le certe o tentate influenze dei sindacati statunitensi, dello State Department e dei servizi segreti americani sul neo-costituito P.S.L.I. (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) saragattiano. Corollari di ciò sono pure la «dottrina Truman» ed il Piano Marshall. Il secondo capitolo, Il PSLI e la guerra fredda (1947-1948), spiega i giudizi dei socialdemocratici italiani sull’ERP (European Recovery Program) e la pianificazione economica, cui segue un’analisi sul primo Congresso del Psli organizzato a Napoli nel febbraio 1948 ed in cui si enuncia il concetto di «Terza Forza»; il tutto poco prima dello shock del colpo di Stato staliniano di Praga e delle elezioni nevralgiche del 18 aprile '48. Nel terzo ed ultimo capitolo, Il PSLI e la scelta occidentale (1948-1949), viene descritto il dopo-elezioni, l’enunciazione saragattiana della formula del «non isolamento», il socialismo europeo ed il Patto Atlantico nel dibattito al II Congresso socialdemocratico di Milano del gennaio ’49 ed il passaggio dal federalismo europeista all’atlantismo concreto con l’adesione appunto alla NATO. A ciò è dedicato il terzo congresso del Psli tenuto a Roma nel giugno 1949. Il ruolo degli esponenti del Psli nella guerra fredda sindacale italiana con conseguente scissione della CGIL, e la successiva unificazione di Psli e Psi chiudono la trattazione dell’imponente impianto complessivo dell’opera storica defeliciana. Last, but not least, è l’Appendice documentaria di 232 pagine che illuminano con vivida luce il quadro di riferimento storico del libro in questione. Uno studio, questo di Alessandro De Felice, quasi decennale, pionieristico e ponderoso per la monumentale massa di informazioni e notizie che ci fornisce, e destinato sicuramente a tracciare la linea ardita di un pensiero importante.
Documenti 1
G. De Felice Giuffrida
Maffia e delinquenza in Sicilia (Milano, 1900).
Politica, criminalità e magistratura tra il delitto Notarbartolo ed il processo Codronchi-De Felice.
A cura e con un saggio storico introduttivo di Alessandro De Felice.
Prima Edizione Boemi, Catania, 1999, Nuova edizione SINCLAIR Edizioni, Milano 2016, pp. 476, Euro 26,00.
ISBN 9788894209716
Tra le più documentate e profonde ricerche storiche sul fenomeno mafioso è senz’altro da collocare il poderoso e completo volume scritto da Alessandro De Felice (curatore ed autore di un saggio introduttivo di 344 pagine) per le nostre Edizioni. Il saggio in questione s’intitola Maffia e delinquenza in Sicilia (Milano, 1900). Politica, criminalità e magistratura tra il delitto Notarbartolo ed il processo Codronchi-De Felice, (pp. 437, Edizioni Boemi, Catania, 1999) e comprende anche al suo interno l’omonimo pamphlet defeliciano sul fenomeno mafioso, pamphlet del socialista Giuseppe De Felice Giuffrida pubblicato a Milano all’inizio del secolo. Si tratta della seconda opera storica della prestigiosa collana Biblioteca Storico-Politica fondata e diretta dallo stesso Alessandro De Felice per le Edizioni Boemi ed articolata in due settori scientifici e politologici: saggi e documenti, oggi rieditata da SINCLAIR Edizioni di Milano.
Maffia e Delinquenza in Sicilia fu scritto da Giuseppe De Felice Giuffrida in una settimana, tra la fine del dicembre 1899 ed i primi del gennaio 1900. Il libro – che potrebbe definirsi per l’epoca in cui vide la luce un pionieristico libro-inchiesta storico-politico-giudiziario con venature sociologiche – ha quindi, come pure osservò l’Autore, «il difetto della fretta ed il pregio della spontaneità». La necessità e l’urgenza di combattere una «ben triste piaga sociale», spingono G. De Felice a non ritardare la pubblicazione del breve saggio e, per far ciò, egli si avvale anche di alcuni suoi precedenti articoli ed editoriali apparsi su l’«Avanti!» ed «Il Secolo» (quotidiano milanese di area liberale progressista fondato nel 1866 da Edoardo Sonzogno). Il testo è, per molti aspetti, un’aperta e coraggiosa denuncia delle connivenze politiche e governative legate alle clientele ed alle consorterie che si muovono sullo sfondo del primo grande crimine mafioso dell’Italia unitaria: il delitto Notarbartolo (1° febbraio 1893). Il secondo shock mafioso sarà l’agguato mortale a Joe Petrosino – tenente della Polizia di New York -, assassinato dalla sinergia criminale di Mafia siciliana e Mano Nera italo-statunitense a Palermo la sera del 12 marzo 1909 in un complotto internazionale orchestrato da Don Vito Cascio Ferro, il più importante boss della mafia di questo secolo.
Giuseppe De Felice (Catania, 1859 – Aci Castello 1920) è un personaggio politico di primissimo piano nella Sicilia degli anni a cavallo tra fine ‘800 e primi venti anni del Novecento. Repubblicano, socialista rivoluzionario, anarchico, interventista nel 1911 e nel 1914, riformista e poi socialista riformista nazionale, è soprattutto ricordato come il massimo esponente, animatore e fondatore del movimento dei Fasci Siciliani del 1891-1894, del FASCIO DEMOCRATICO fondato a Catania nel 1910 che vide la presenza, al suo interno di Federico De Roberto e Mario Rapisardi e, nel clima effervescente dell’interventismo durante la guerra 1914-1918, del "Fascio parlamentare per la difesa nazionale" nel dicembre 1917 sotto la guida di Maffeo Pantaleoni. Alessandro De Felice, curatore dell’opera ripubblicata a quasi 100 anni di distanza dalla sua prima uscita, ricostruisce con perizia ed acume intellettuale il quadro storico in cui si svolgono le vicende narrate nel saggio del deputato catanese, servendosi anche di alcuni discorsi parlamentari praticamente inediti dello stesso leader socialista. Il giovane storico conferisce al ritratto di Giuseppe De Felice una forte individualità, dando originalmente rilievo ad alcune fra le note dominanti più interessanti ed in parte meno evidenziate od ignorate del politico etneo. La prima parte traccia il profilo storico di un socialista sui generis tra post-risorgimento e pre-fascismo, delineando un breve ritratto di un leader rivoluzionario – Giuseppe De Felice – dal 1859 al 1900, con influenze ideologiche socialiste ed anarchiche di Andrea Costa, Amilcare Cipriani ed il primo Mussolini. La ricerca si muove tra rivoluzionarismo, socialismo e radicalismo, con particolare attenzione al mazzinianesimo etneo. La seconda parte è dedicata alla Mafia ed al delitto Notarbartolo, ovvero elaborazione storica del termine e primo grande assassinio politico (l’affare Notarbartolo per l’appunto). Si assiste ai torbidi intrecci economico-politico-malavitosi ed alle prime indagini fino al processo di Milano. Segue quindi una parte assolutamente inedita dedicata dal curatore del saggio al processo tra il conte Codronchi – rappresentante degli interessi costituiti – e Giuseppe De Felice con sullo sfondo sempre la inquietante e vischiosa figura del deputato palermitano Raffaele Palizzolo, indicato come il mandante dei sicari del Notarbartolo. Pur in un campo precedentemente mietuto dalla storiografia marxista, il saggio del giovane storico contemporaneo si oppone con seri argomenti scientifici a questa critica che predilige il sistema delle caselle schematiche e dei compartimenti stagni, e tenta, invece, di cogliere gli inesplorati e “sotterranei” collegamenti ed i moventi psicologici e storici dei fatti. L’attenta considerazione dell’elemento rivoluzionario mescolato e rifluito in vari rivoli tra Otto e Novecento facilita così la piena comprensione degli avvenimenti e degli uomini che ne sono protagonisti. Con uno studio vasto e profondo, dove gli scrupoli di metodo convivono con un’intelligenza scintillante e versatile conferendo al profilo defeliciano una singolare potenza di argomentazione, Alessandro De Felice compie un’opera di grande valore in un campo dove le dissertazioni ed i tentativi precedenti richiedevano un coordinamento complessivo capace di inquadrare una materia tanto delicata, in modo da sottoporre agli studiosi una base autorevole, un indirizzo preciso. Da un punto di vista disciplinare si tratta del procedere libero e creativo da parte del curatore del saggio defeliciano su percorsi impervi, seguendo ipotesi inedite ed ardite. Nel nesso di continuità “inaspettata” tra Fasci-Socialismo-Fascismo può, solo superficialmente, scorgersi una concatenazione ed un’osservazione decostruttiva o persino eversiva e “tremenda”, e si esige perciò, dai liberi lettori, coraggio ed onestà intellettuali, nervi saldi e libertà da pregiudizi per guardare senza lenti deformate e deformanti alla realtà del processo storico. Nessuno più di Alessandro De Felice [(dello stesso ceppo familiare del patriota garibaldino prof. Francesco De Felice (1821-1893), principale esponente siciliano con Francesco Crispi della spedizione dei Mille nel 1860), e nipote di Renzo De Felice (1929-1996)], profondo conoscitore del Novecento politico, poteva essere atto ad un simile compito. Una battaglia scientifica condotta con ampiezza mentale e con una piena e matura latitudine d’orizzonte, senza rinunciare alla chiarezza del linguaggio ed alla facilità di comprensione per il lettore.
La sua tesi di fondo è che Giuseppe De Felice, per primo, avrebbe “divinato” la logica terminologica della tradizione rivoluzionaria dei Fasci concretizzandola nel socialismo giacobino prima e bonapartista poi. Da questo punto di vista, lo studio in questione è anche, e, soprattutto, una grande riflessione culturale sulle varie eresie socialiste del XX secolo (fascismo mussoliniano compreso): nella sincera intelligenza dei moventi storici, politici e psicologici è il segreto di questa potente rievocazione.